C’è un Banksy imborghesito in piazza XX Settembre

A Dismaland si accedeva attraverso un metal detector di cartone, mentre gli addetti alla sicurezza urlavano ordini e svolgevano i loro controlli. Una volta entrato, il visitatore si imbatteva nei soliti animatori travestiti da Topolino, che però gli auguravano «buon divertimento» al colmo della debilitazione fisica e motivazionale. Non erano più gli apostoli ma i tossici della fun-morality. E del resto il colpo d’occhio era proprio quello di un parchetto abbandonato a se stesso e mal frequentato, dove le installazioni sembravano vecchie giostre che continuavano a sferragliare senza motivo.

Al centro di tutto svettava il castello di Ludovico II, di Biancaneve o di Rapunzel, ma lo si sarebbe detto più tozzo e simile a una fortezza espugnata e ridotta all’intelaiatura di un fondale. Mentre la futura principessa stava rientrando dal ballo, comunque, il vetturino doveva aver perso il controllo della carrozza e ora i flash dei fotografi illuminavano il corpo senza vita di una donna.

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Il visitatore aveva già acquistato un palloncino nero con su scritto «I am an Imbecile», aveva armeggiato con il radiocomando di una barchetta carica di profughi per farla ronzare da un capo all’altro dello stagno e adesso poteva finalmente ammirare il plastico di una periferia in cui gli unici sopravvissuti a qualcosa di tremendo erano cinquemila agenti di polizia, con le sirene delle automobili in sosta ancora accese, qualche palazzone, il buio dei campi, le ambulanze, un raccordo autostradale e la scientifica che rovistava nei bidoni dell’immondizia.

Qualunque cosa fosse accaduta, le autorità non l’avevano potuta evitare e la loro funzione protettiva si capovolgeva nel significante di un’insicurezza trionfale e furtiva, che giocava d’anticipo e non dava scampo.

Cauty

D’altronde, anche se in modo meno conturbante, Banksy aveva già annunciato la morale del plastico nel cartello appeso all’ingresso del parco, quello in cui si stabiliva che all’interno erano «severamente proibiti coltelli, bombolette spray, droghe illegali e avvocati della Walt Disney». Perché all’eventualità di un visitatore armato il divieto non opponeva un controllo più rassicurante della stessa ironia che riservava ai legali della Walt Disney, i quali potevano chiaramente entrare senza intoppi.

Ora in Piazza XX Settembre abbiamo anche noi la nostra slitta ribaltata con Babbo Natale e le renne a gambe all’aria, ma della loro provenienza da Dismaland non recano traccia. Se ne stanno lì tra il mercato coperto e gli addobbi a intrattenere lo shopping, con il nastro giallo della polizia americana che ammicca al consumatore.

Babbo ribaltato

La Police line della sicurezza e del decoro è ristabilita, ecco cosa accade all’arte pubblica quando viene reintegrata in un’estetica del consenso: adesso il nastro serve effettivamente a proteggere l’investimento dalle incursioni dei bambini che solo cinquanta metri più in là possono cavalcare i leoni del duomo. C’è anche un cartello, proprio come all’ingresso di Dismaland, ma questa volta dice «vietato salire» e non scherza per niente.

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